Racconta il popolo, con una sempre fervida fantasia che Teodoro, questo il vero nome, è un giovane soldato lontano da Gallipoli da tanto tempo. La mamma lo vorrebbe riabbracciare. Questa gioia non la potrà assaporare neanche nell’ultimo giorno di Carnevale, in quanto il figlio arriverà quando ormai i clamori della festa si saranno spenti. Eppure lui non vede l’ora di arrivare a Gallipoli per partecipare alle gozzoviglie del carnevale con i suoi amici e parenti. La mamma Caremma allora ottiene, non si sa bene se intercedendo verso il Padreterno o per opera “de macaria” il favore di far prolungare il carnevale di altri due giorni, detti “li to’ giurni de la vecchia”. E così accade! La donna prepara allora per il figlio una grossa quantità di polpette e salsiccia  che Titoru potrà mangiare a sazietà. Ma ahimè, l’ultima polpetta gli è fatale: gli và di traverso e muore. Da qui nasce la teatralizzazione della morte del Carnevale incentrata nella persona di Teodoro, inscenando un funerale tragicomico per le vie della città, con il seguito di prefiche in gramaglie, di amanti travestiti e compari ubriachi, ironici e beffardi, mentre la mamma lo piange al suono della “pizzica-pizzica”. Sottile e sapiente, è l’insegnamento morale che scaturisce da questa manifestazione simbolica. Attraverso la morte de “lu Titoru” si vuole mettere in guardia dalla sregolatezza e si richiama alla consapevolezza della fugacità dei piaceri della vita di fronte alla visione della morte.